Me ne hanno dati tanti di aggettivi che non ne ascolto quasi più. Ogni generazione ha i suoi: un tempo mi dicevano di punta, di rottura, che forse sotto sotto voleva dire anche di palle. O di avanguardia e allora mi venivano in mente gli avanguardisti balilla. Mi piace ancora oggi la definizione che inventò Camilla Cederna: "il professorino che canta".
giovedì 30 gennaio 2014
ALFABETO POLI a.c. di L. Scarlini
AGGETTIVI
Me ne hanno dati tanti di aggettivi che non ne ascolto quasi più. Ogni generazione ha i suoi: un tempo mi dicevano di punta, di rottura, che forse sotto sotto voleva dire anche di palle. O di avanguardia e allora mi venivano in mente gli avanguardisti balilla. Mi piace ancora oggi la definizione che inventò Camilla Cederna: "il professorino che canta".
Me ne hanno dati tanti di aggettivi che non ne ascolto quasi più. Ogni generazione ha i suoi: un tempo mi dicevano di punta, di rottura, che forse sotto sotto voleva dire anche di palle. O di avanguardia e allora mi venivano in mente gli avanguardisti balilla. Mi piace ancora oggi la definizione che inventò Camilla Cederna: "il professorino che canta".
TUTTALPIU' MUOIO di F. Timi e Albinati
Nasco come tutti dalla mamma, come tutti a sette mesi dopo che la mamma per sbaglio si versa dell'acqua bollente sul pancione.
Neppure la pancia della mamma era un posto sicuro. Nasco terrorizzato.
Stavo nel mio bel mondo, nella pancia della mamma, quel mondo perfetto, dove io solo ci stavo, tranquillo a vivere e galleggiare, con il calore di un corpo tutto intorno e come cielo carne, la volta celeste era un immenso corpo che mi portava a spasso.
Neppure la pancia della mamma era un posto sicuro. Nasco terrorizzato.
Stavo nel mio bel mondo, nella pancia della mamma, quel mondo perfetto, dove io solo ci stavo, tranquillo a vivere e galleggiare, con il calore di un corpo tutto intorno e come cielo carne, la volta celeste era un immenso corpo che mi portava a spasso.
Fandango, ed. 2012
lunedì 20 gennaio 2014
FARE UN FILM di F. Fellini
Specialmente quando mi portano nella sala radiologica, mi sento un oggetto, una cosa. La sala, con le sue luci fredde, pare Mauthausen, oppure una sala di missaggio. Mi lasciano seminudo nella carrozzella; di là dai vetri i medici in camice bianco parlano di me, fumano, mi indicano tra loro con gesti che vedo e parole che non sento. I parenti degli altri malati mi passano accanto, nel corridoio, mi guardano seminudo: guardano l'oggetto.
Einaudi, ed. 1993
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